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mercoledì 18 giugno 2014

Magic Time!



Niente era più malinconico del sigaro avana, longilineo come una matita, che Jack Lemmon tormentava con i denti nella penombra del suo camerino. 
Tra volute azzurrine, mentre il fumo si addensava pigramente nel cerchio di un paralume con la seta a brandelli, Lemmon si trovava nel teatro di posa della Columbia, alla periferia di Hollywood. Era un giorno di festa: era il primo giorno di lavorazione del nuovo “brillantissimo” film di Lemmon, scritto apposta per Lemmon.
 Il titolo era “Sotto l’albero Yum-Yum” ( una pianta esotica dai frutti così dolci da dar la nausea)

Lemmon era di Boston nel Massachusetts, sopra New York. È lo stato dei Kennedy, una terra di gente che ha radice negli affari, veste monopetti fumo di Londra con cravatta spenta, e parla un americano sofisticato. Aveva studiato ad Harvard, che è l’università più snob d’America, ed era figlio di un industriale di frittelle, prodotte e inscatolate a catena.

Ognuno si porta dietro nella vita la sua nascita e la sua terra.
Ed era quindi inevitabile che Jack, riuscito a sfondare ad Hollywood nel ruolo di uno che deve far ridere invece che far piangere o innamorare, sentisse sorgere, inarrestabile e polemica, la vocazione per il tono e il distacco di un uomo d’affari.

Successe anche a Charlot, cui Lemmon è stato raffrontato: più faceva torcere dalle risa il pubblico che pagava il biglietto per vederlo nel ruolo di clown e soltanto di clown, più esigeva la patente di intellettuale. Aveva bisogno di far sapere che anche i pagliacci hanno un cuore, un sentimento ed un credo politico. Jack era come Chaplin.
Nascondeva questa sua infelicità dietro il cerone.

Se ricordiamo Lemmon in "L'appartamento" di Bill Wilder, o anche in “A qualcuno piace caldo”, vicino a Marylin Monroe, e il suo travestimento da donna, non possiamo fare a meno di ridere.
Eppure, finita la sequenza con Marylin e ottenuto il riposo prima del successivo “ciack”, Lemmon si toglieva le gonne, buttava con rabbia la parrucca e si faceva serio e compunto. Poi si avviava in camerino ad aprire, per smarrircisi, un grosso tomo di archeologia, il suo studio preferito. Quasi che avesse avuto bisogno di un antidoto. Che il troppo far ridere gli procurasse il fastidio di se stesso.

Fu proprio per evadere dal suo personaggio comico che in “Il giorno del vino e delle rose” Lemmon accettò il ruolo di un alcolizzato. Lo fece così magistralmente che quasi meritò l’Oscar. Ma i produttori non si convertirono alle sue qualità drammatiche e stabilirono che Lemmon dovesse rientrare subito nei ranghi della comicità e continuare nel suo dovere di stimolare il senso di humor della gente.

Dunque aveva una grande passione Lemmon quando, facendo sfrigolare il sigaro tra l’indice e il medio, diceva che avvicinava il dramma e la commedia nello stesso modo. Ma che si sentiva istintivamente conquistato dal dramma e che il ruolo drammatico se lo portava dietro, anche fuori dallo studio.

 Nessuno quanto un clown vorrebbe recitare “Amleto” .

Ma la vera celebrità lo incatenò principalmente ad un solo ruolo, quello comico.
Amava solo uno sport, lo squash perché non gli permetteva di pensare. Leggeva solo cose storiche o archeologiche e lo annoiavano le barzellette.
Ma quando doveva entrare in scena, spegneva l’ennesima sigaretta, si alzava, si guardava allo specchio, si fissava e piano piano, i muscoli di malavoglia obbedivano senza ribellarsi, la faccia si trasformava da grave in serena e poi in ammiccante e faceta.
Lemmon entrava in scena sorridente e diceva: 
- “Magic Time !” -   sempre prima di ogni sequenza.
Magic Time ? Che significa, se non “incantesimo”? Qual era il senso che Lemmon gli attribuiva mentre lo ripeteva ad occhi chiusi con tanta ostinazione?
L’incantesimo che si vuole creare non deve forse corrispondere alle intenzioni di chi ripete la frase? 
E allora può darsi che Lemmon la ripetesse solo perché un sortilegio, un impossibile gorgo di magia, potesse un bel giorno trasformare il “set” (in cui gli toccava vestire spaventosi maglioni rossi e calzare pantofole ricamate adatte a far solletico al mondo) in un palcoscenico elisabettiano dove in una castigatissima maglia nera ripetesse assorto
 “Essere o non essere? ”.

Il suo ultimo lavoro degno di nota fu la versione di Kenneth Branagh di “Hamlet” del 1996, interpretato da sir. Richard Attenborough in cui Lemmon recita nella parte di Marcello, una delle guardie del Re. “Magic Time !”         
Lemmon morì nel 2001.

Babazzurra

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